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di Luigi MASCIA da: "COLLE SANNITA, tra Cronaca e Storia" Tipografia Sannio Circello (BN) 1990 |
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La delinquenza individuale e di gruppo è sempre esistita. Briganti e banditi hanno, con le loro gesta, affascinato poeti e prosatori di tutti i tempi che, dando libero sfogo alla loro fantasia, hanno saputo creare personaggi leggendari e irreali spesso non privi di una carica umana di simpatia. I cronisti, poi, a loro volta, si sono sbizzarriti a raccontare, anche nei minimi particolari, vita e imprese dei più famosi gangster suscitando nelle coscienze dei più sensibili non pochi interrogativi d'ordine morale. Il lettore, infine, più sprovveduto culturalmente e quindi più facilmente condizionabile dai messaggi di cronaca, si è creato una sua immaginaria rappresentazione dei fatti cadendo, non raramente, nell'esaltazione della violenza mitizzando uomini e tempo. Così è accaduto anche per i briganti di Colle senza che mai una giusta attenzione portasse a distinguere e a periodizzare le varie fasi del brigantaggio collese. Perché, se è vero che nel passato Colle ebbe triste fama per i suoi briganti, e pur vero che bisogna stare bene attenti a delineare il diverso contesto nel quale si svilupparono le varie forme di violenza. Noi cercheremo di farlo con quella obiettività che si deve al passato, ma anche con animo sereno scevro da dannosi campanalismi: non vogliamo assolvere, vogliamo soltanto sottoporre all'attenzione del lettore il nostro lavoro di ricerca. Se, poi, l'immagine che ancor oggi ci portiamo di "briganti", nel senso peggiore della parola, dovesse uscirne capovolta abbiamo reso un utile servizio alla verità storica.
LE TAPPE DEL BRIGANTAGGIO E LE CAUSE CHE LO DETERMINARONO Tre sono le tappe principali del banditismo e del brigantaggio collese: il seicento, il primo e il secondo ottocento. Il seicento accerta a Colle la presenza di uomini fuori della legge che operano individualmente e a gruppi. Di essi non abbiamo che qualche incompleto documento. L'anno che maggiormente vide il dilagare degli atti criminosi sembra essere stato il 1627 "in detto anno forono grande numero di banniti in ogni parte facendo molti recatti", scrive nel suo diario il collese Petrone. Chi essi fossero, contro chi operassero non è dato sapere. Certo è che le campagne di Colle non erano immuni dal quel triste fenomeno di banditismo così comune a quei tempi. Miseria, condizioni penose di vita, arretratezza generarono nel tessuto sociale mostri della violenza criminale e della protesta cieca. Privi di ideali politici e senza alcuna prospettiva di un ordine sociale nuovo, si aggiravano per le campagne tendendo agguati e rendendo poco sicure le scarse vie di comunicazione. Viaggiatori solitari, piccole comitive, proprietari venivano rapinati, sequestrati e talvolta massacrati. Il sistema feudale non sempre riusciva a scoprire e a individuare i colpevoli. Quando questo avveniva per il reo macchiatosi di piccoli reati c'era ad attenderlo la flagellazione o un marchio infuocato sul viso. Talvolta il colpevole, legato ad una colonna infame, detta gogna (1), (vergogna) veniva esposto al ludibrio del pubblico, che lanciava lazzi, uova o frutta marce. Per i reati, invece, più gravi c'era la decapitazione, l'impiccagione e perfino la sepoltura da vivi.
CARATTERI DEL BRIGANTAGGIO NEL XIX SECOLO Caratteri nuovi e diversi rispetto ai moduli del seicento si registrano, invece, nel primo quindicennio dell'ottocento e, maggiormente, dopo l'Unità d'Italia. Non più una pura e semplice delinquenza, ma una vera contestazione sociale che acquista forza e vigore trasformandosi in rivolta armata con vere e proprie esplosioni e diffusa guerriglia dal 1860 in poi. Sia gli avvenimenti che vanno dal 1806 al 1815, sia quelli che vanno dal 1860 al 1865 hanno un filo conduttore comune. Mentre i vecchi equilibri politici ed economici vanno rompendosi, un mondo fatto di sentimenti, tradizioni, valori diversi resiste e reagisce in modo violento. Il sovrano spodestato si appella ai suoi fedeli per restaurare il potere toltogli prima dai francesi e poi dai piemontesi. Le gravose tasse, la burocrazia piemontese poi, il servizio militare obbligatorio, il passaggio delle terre del demanio e degli ordini religiosi soppressi nelle mani di pochi privati, la perdita dei cosiddetti usi civici (legnatico, erbatico), indispensabili al popolo per poter sopravvivere, spinsero, specialmente dopo il 1860, migliaia di contadini a darsi alla macchia per combattere il nuovo ordine che andava instaurandosi. Pur senza una salda e organica coscienza politica e sociale perché privi di "cultura", avvertivano il cambiamento in atto che li vedeva ancora una volta emarginati ed istintivamente si ribellavano e attraverso amare esperienze maturarono una coscienza di classe" ponendo, così, le basi di quella "Questione Meridionale", di cui ancor oggi tanto si parla. Ad essi s'unirono sbandati dei disciolto esercito borbonico, evasi dal carcere, renitenti alla leva, sacerdoti. La popolazione non era ostile e proteggeva i briganti visti come vendicatori di ingiustizie secolari. Il pugliese Giuseppe Massari, presidente di una commissione di inchiesta sui briganti nel 1863, dopo un controllo della situazione nel sud, scrisse: "La sola miseria non sarebbe in effetti cotanto perniciosa se non fosse congiunta ad altri mali che la infausta signoria dei Borboni creò ed ha lasciato. Questi mali sono l'ignoranza gelosamente conservata ed ampliata, la superstizione diffusa ed accreditata, e segnatamente la mancanza assoluta di fede nelle leggi e nella giustizia" (2). La riforma agraria, la diffusione dell'istruzione pubblica, la costruzione di strade, le bonifiche erano alcuni dei rimedi che il Massari proponeva per risolvere la difficile situazione. Ma i rimedi proposti non furono accolti; furono, invece, inviati nel sud ben 120.000 uomini armati per reprimere con la forza il fenomeno e si commisero abusi come fucilazione dì chi era trovato in possesso di armi, arresto domiciliare degli individui sospetti e così via. I briganti risposero con non meno ferocia: soldati furono legati agli alberi ed arsi vivi; altri furono crocifissi o mutilati. Tra il 1861 e il 1865 furono uccisi o fucilati 5212 briganti, arrestati 5044. Le bande erano organizzate in piccoli gruppi con un capo. Sulla groppa del cavallo tenevano una bisaccia a doppia tasca, in cui erano viveri, munizioni, capi di vestiario. Erano armati di doppiette da caccia e di fucili militari strappati ai soldati avversari. Le varie bande comunicavano fra loro con colonne di fumo durante il giorno o con falò e lampade nella notte. I messaggi venivano trasmessi con speciali accorgimenti come stracci esposti alle finestre, intacchi sulle piante, rami spezzati, sassi accatastati, imitazioni di richiami di uccelli. Sentinelle e vedette davano l'allarme con fucilate. fischi, squilli di tromba Durante i rastrellamenti da parte delle truppe regolari, i briganti si spostavano in continuazione. Una vita dura con pernottamenti all'addiaccio, veglie, fame, marce forzate, scontri sanguinosi. I feriti venivano raccolti oppure uccisi e cremati dai loro stessi compagni per renderli irriconoscibili e per evitare delazioni. Le bande a cavallo riuscivano a percorrere in una sola giornata anche 70 Km. I briganti praticavano la guerriglia con ritirate improvvise nei boschi o verso i monti ………..
IL BRIGANTAGGIO POST - UNITARIO LA SITUAZIONE A COLLE NEL SETTEMBRE DEL 1860. Il 25 ottobre del 1860 l'antico Ducato di Benevento diviene provincia del Regno. Successivamente, non senza contrasti, divisa in tre circondari: Benevento - Cerreto - San Bartolomeo in Galdo. Colle, che dal 1806 faceva parte della provincia di Campobasso, passò alla Provincia di Benevento con l'aggiunta dell'appellativo "Sannita" e incluso nel terzo circondano avente come sede principale San Bartolomeo in Galdo. Ma prima che questo avvenisse, la rivolta contadina era già in atto in tutto il Sannio. Agli inizi del settembre del 1860 a Colle, Castelpagano, Reino e Circello si ebbero delle sommosse antigaribaldine con saccheggi in varie abitazioni. Il Governatore della Provincia di Molise, De Luca, il 4 settembre 1860, scriveva al maggiore Francesco De Feo, Comandante la la Legione Sannitica che si trovava ad Ariano: "E' urgente che la colonna da Lei comandata ritorni in Molise... saccheggi si sono verificati nei comuni di Colle, a Castelpagano, a Reinoo, ed in Circello... quindi vi prego... di muovere verso Molise, stanziare in Colle con tutte le vostre forze, che, se credete, potete anche dividere nei cennati paesi, vivendo a spese della popolazione sommosse. In Colle troverete ducati 300 a vostra disposizione e D. Gennaro Sipio mio delegato con pieni poteri... Avvisatemi telegraficamente della partenza, subito, subito" (3) .….. Di passaggio per Colle, il maggiore Francesco De Feo, in data 17 settembre, riceve dal Delegato del Governatore Gen. Sipio la seguente lettera: "Per ordine del Governatore della Provincia devesi con tutta quanta la celerità che sarà possibile procedere al disarmo generale dei Comuni di Colle, Circello e Castelpagano. Io nella qualità del prelodato signor Governatore volendo dare adempimento agli ordini suoi (4) ho dato di già le disposizioni per attuare il predetto disarmo generale; e quindi ho fatto pubblicare un avvertimento a tutti i cittadini di Colle di presentare fino alle ore ventuna di questo giorno nella casa comunale le armi loro. Profittando poi della buona ventura ch'Ella è di passaggio per Colle con la 1a legione Sannita da lei degnamente diretta, la prego trattenersi in Colle con la medesima, e delego la sua persona per procedere al disarmo di sopra disposto, tenendo presente il mio avvertimento predetto. Il disarmo deve essere generale, ma sarà conservata la guardia nazionale soltanto se avrà adempiuto bene ai suoi doveri ed avesse curato di conservare l'ordine pubblico, ed a questo oggetto ho nominato una commissione di scrutinio alla quale Ella presiederà. La prego poi nominare una commissione di ufficiali la quale avrà l'incarico di riceversi le armi nella casa comunale, stendendone il correlativo verbale, nel quale sarà fatto uno stato nominativo delle persone che consegneranno le armi, e sarà indicato il numero e la qualità delle armi medesime. Per quelli che non presenteranno le armi, ed Ella avrà sospetto che le tenessero, procederà a visite domiciliari ed arresterà i detentori delle medesime. Per tutt'altro, farà quanto la sua prudenza le saprà consigliare" (5). Tali precauzioni non evitarono, però, i gravi eventi dell'anno successivo.
ARRUOLAMENTO, ASSALTO E PRESA DI COLLE Nel circondano di San Bartolomeo in Galdo, il "Toppo dei Felci" sulla montagna di "Mazzocca" divenne il luogo di raccolta dei briganti: "Tra i Comuni di Castelvetere e Baselice è un bosco che chiamano Toppo di Felci e Mazzocca, il quale cominciando da un punto quasi centrale tra i detti due Comuni e gli altri di Colle e San Marco dei Cavo ti s'inoltra nella Capitanata per molto notevole lunghezza. Il suo principio che è precisamente l'indicato punto centrale tra i quattro Comuni, è su di una collina la quale propriamente dicono toppo di Felci. In questo bosco, appunto, è il covo del brigantaggio. Quei malfattori hanno una lunga e larga estensione in cui potersi nascondere e difendere secondo i casi. Di là essi minacciano accennando ora all'uno, ora all'altro Comune, e dal Toppo dei Felci, donde mi si dice che si scoprono i dintorni a molta distanza, hanno l'opportunità di scorgere l'avvicinarsi della forza o di altre persone. Aderenze tengono costoro in tutti quei Comuni, ma più specialmente in Colle, poiché circa 30 Collesi sono tra loro. Le Autorità locali per tema di richiamare più prestamente sopra di loro le aggressioni e le vendette degli assassini, si sono astenute di rivelare e molestare coloro che tengono mano ai loro nefandi attentati. Quale sia il numero dei briganti, chi propriamente e d'onde tutti venuti non mi è stato possibile minutamente investigarlo. Ma ormai cominciano a scuotersi, tanto che su le loro indicazioni la truppa ha arrestato quattro individui in S. Croce di Morcone, e due in Castelpagano come iniziati di connivenza secondo che apprendo da un rapporto del Giudice di quel Mandamento. Tale l'onda principale: altre piccole bande appariscono ora in un punto, ora in un altro del restante territorio del Circondario. Onde il terrore è massimo nei Comuni vicini all'accennato bosco, minore altrove. Due sono i motivi che sostengono lo sgomento dei più notabili cittadini; il sapere che i briganti tengono aderenze nella plebe di quei Comuni, il che vale avere il nemico in casa; la tema che non riuscendovi felicemente in un attacco, avessero a rimanere vittime dell'atroce crudeltà di quegli uomini di sangue, essi, le loro famiglie e le loro case. Dal breve cenno che ho esposto, si rileva che l'agitazione maggiore è nei Comuni di Colle, S. Marco dei Cavoti, Baselice e Castelvetere. E perciò le mie operazioni sono principalmente ad essi dirette. Una colonna di truppa si tiene a Colle e nei dintorni; un'altra di volontari è partita stamane secondo altro mio rapporto di pari data. Il mio scopo principale è quello di rialzare lo spirito pubblico, affinché le popolazioni, ripigliato animo, si adoperino a distruggere da sé, questo triste flagello" (6). A preoccuparsi non è solo il Governatore di Benevento. Anche il sindaco di Colle e l'Intendente di San Bartolomeo in Galdo, Governatore Pacces, nei giorni precedenti avevano inviato allarmanti rapporti con richieste d'aiuto. Il Sindaco di Colle, Giorgio Mascia, scrive il 30 giugno 1861 all'Intendente di San Bartolomeo in Galdo "Dall'ex capitano del disciolto esercito meridionale, signor Vincenzo Paolucci, ho saputo che in questo Comune si sta organizzando una reazione per opera di Giovanni De Francesco di qui a ciò incaricato da Francesco Saverio Basile che scorre la campagna unito ad altri, in queste vicinanze e propriamente in Mazzocca tenimento di Baselice ove oggi ha aggredito e disarmato il guardabosco del Principe di Colle ed altri, minacciando l'agente di quel Principe. La prego, intanto disporre sollecitamente che le guardie nazionali di Baselice, Foiano, Castelvetere, San Marco, Castelpagano e particolarmente Volturara, vegliassero nei rispettivi tenimenti, mentre da sicuri indizi si ha che il Basile medita di fare gente per unirsi ai briganti di Puglia e l'altro giorno confidò a persona che credeva amica, che egli trova il passo di Volturara come difficile per lo sbocco alle Puglie, mentre questa fòrza, unendosi a quella di Circello, adempirà il suo dovere nel tenimento. Le partecipo pure che con questa data ho diretto al Governatore di Benevento e al Delegato di P. S. in Pontelandolfo, uffizi di partecipazione del fatto stesso, provocando dal primo, una forza regolare contro i malfattori. Mi aspetto le sollecite provvidenze al riguardo " (7). La notte del 30 giugno del 1861 il Basile, con altre 60 persone bene armate, fu visto vicino Colle, poi si recò nella masseria di D. Francesco Jaccasile in Decorata "chiedendogli la somma di ducati duemila, dandogli due giorni di tempo, altrimenti gli brucerebbe tutto" (8). L'intendente Pacces chiedeva a Benevento che venisse spedito a Colle "un buon numero di truppa regolare". Il 3 luglio ancora una lettera dell'Intendente Pacces al Governatore: "La Comitiva apparsa nei tenimenti di Colle e Baselice, di Castelpagano e Cercemaggiore ha gittato l'allarme e lo spavento in quasi tutti i Comuni del Circondano. Le mie minacce di scioglimento fatto alle Guardia Nazionale, nel caso che non agissero energicamente, non hanno punto fruttato alcun pro, giusta come io prevedevo e le sottomettevo col mio rapporto di ieri l'altro, sull'apparizione dei malviventi nel tenimento del cennato Comune di Colle. A prescindere della mancanza dello spirito bellicoso in queste popolazioni, e del poco entusiasmo patriottico, vi si aggiunge una timidità ed un'indolenza veramente spaventevole. I timori, d'altronde, hanno l'appoggio nella indisciplinatezza delle guardie cittadine, malconce, male armate, mal provviste di munizioni e moltissime sfornite di fucili, come quelle di questo capoluogo e di altri comuni ancora, che non hanno finora ottenuto un solo fucile militare. Sarebbe quindi di somma urgenza spedirsene un buon numero... Ho fatto per tranquillizzare gli animi ed elevare lo spirito pubblico, circolare che un numero considerevole di truppe è per arrivare nel circondano. Se di fatto questa non giunge, io ho positivamente a temere della pubblica tranquillità nel Circondario, né in caso di qualche sinistro, io saprei escogitare mezzi ed apportarvi pronti ripari per la inubbidienza e poco coraggio delle Guardie Nazionali e per la mancanza assoluta di altra forza della quale potessi disporre. Se ella, signor Governatore, non ha truppa da inviare in questo Circondano, ne telegrafi al Signor Segretario Generale del Dicastero dell'Interno e Polizia. L'attuale posizione non ammette remora alcuna" (9). Sempre più allarmato, il Pacces scrive ancora al Governatore: "Sono informato dal Sindaco di Baselice che ieri, la Guardia Nazionale di Colle Sannita, si imbatté a un punto, detto Toppo dei Felci, con ventisei briganti e dopo tre ore di conflitto, fu costretta a fuggire, lasciando morti sul terreno quattro militi. Ieri sera la masnada scese a Mazzocca nella masseria dei signori Petruccelli di Baselice ai quali mandava un biglietto di ricatto chiedendo abbondanti viveri e prendendo tutto il formaggio e i latticini che ivi trovarono. Altri briganti si raggirano nel bosco di Castelvetere e nei dintorni. E' inutile che io scriva alla Guardia Nazionale essa non accorre alla chiamata e non so come chiamarla all'ubbidienza. Il turbine mi ronza intorno e temo che tutto il Circondano sarà gettato nella desolazione. Se i briganti assaliranno S. Bartolomeo in Galdo che è più popolato, io non potrò neanche difendermi e dovrò pazientemente rassegnarmi alla morte ". A questa nuova richiesta di aiuto, il Governatore Torre inviò 50 uomini del 62° di Linea comandati dal luogotenente Foresti. Costui, lasciato a Colle un presidio di 20 uomini, proseguì per S. Bartolomeo e quindi per Baselice. Ma le previsioni dell'intendente stavano per avverarsi. Ad essere assalita non fu però San Bartolomeo, ma la nostra Colle Sannita. Nella notte fra 1' 1 e 2 agosto 1861, 250 briganti, guidati da Nicola Collara (10), scesero dalla montagna Mazzocca e, con l'appoggio di una parte della popolazione, assalirono e presero Colle uccidendo la sentinella addetta al corpo della Guardia Nazionale. Una volta in paese disarmarono e fecero prigionieri i venti soldati piemontesi lasciati dal Foresti. Poi inalberarono la bandiera borbonica e bruciarono alcune carte dell'archivio comunale. Il clero locale, composto da D. Antonio Mascia, vicario foraneo; D. Nicola Campanile abate e dai sacerdoti D. Michelangelo Zeolla, D. Angelo Mascia e D. Fedele D'Agostino, dovette cantare il "Te Deum" (inno di ringraziamento), al quale furono obbligati ad assistere i venti soldati prigionieri, il giudice regio e i funzionari di cancelleria. Autorità e molti notabili cittadini, avvertiti del pericolo, si erano dati alla fuga. Il paese non venne, però, saccheggiato e incendiato come era abitudine in quanto "taluni che erano sulla piazza forte vi si opposero dicendo loro che tra gli accordi presi eravi quello di dover rispettare la proprietà essendo solo stati chiamati a restaurare il Borbone" (11). Per due giorni i briganti rimasero padroni di Colle. Il 4 agosto una colonna di Guardie Nazionali tentò di penetrare nel paese, ma fu respinta dai briganti che nello scontro uccisero alcuni militi, ne catturarono due e li fucilarono. Ma quando il maggiore Garini del 62° di linea attaccò con le sue forze, i briganti furono sbaragliati. Quattro di essi, fatti prigionieri, vennero fucilati sul posto. Mentre Colle tornava nella legalità, 1'Intendente Pacces, accusato d'incapacità dal generale Pinelli, si dimise dal suo incarico. Il regio giudice di Colle, per connivenza con i briganti, fu destituito."Colle Sannita liberata dalle bande sembrò risorgere a nuova vita. Il 9 settembre, quando sul far della sera vi giunse la colonna mobile, schiere di giovanette, inneggiarono spiegando il tricolore, all'italia, all'Unità e al Re. La Guardia Nazionale era in piena efficienza ed elevato lo spirito pubblico" (12).
IL BRIGANTE PELOROSSO Quasi contemporaneamente agli avvenimenti trattati, il capobanda collese Francesco Saverio Basile, detto Pelorosso, si preparava ad assalire S. Marco dei Cavoti. Basile era stato uno degli artefici principali della reazione avvenuta in Circello nel settembre del 1860. Da quell'epoca, colpito da mandato di cattura, si era dato alla macchia e "scorreva", come si è avuto già occasione di accennare, le campagne con altri compagni cercando di accrescerne il numero.Le gesta del brigante Pelorosso si possono in parte seguire leggendo gli atti di accusa, pronunciati il 10 febbraio 1863 a Napoli presso la Corte di appello in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, contro 103 persone presunti briganti. Le carte del processo furono compilate da Felice Aufiero, Giudice di Mandamento di S. Giorgio la Molara. Dagli atti processuali risulta che, nel luglio 1861, il brigantaggio politico preparava una vera e propria riscossa in taluni Comuni della nuova provincia di Benevento in nome di Francesco II. Pelorosso per il reclutamento degli uomini scelse il "Toppo dei Felci" sulla montagna di Mazzocca. Dall'alto del "Toppo dei felci" era facile controllare tutta la zona circostante e piombare fulmineamente contro i vari centri urbani. Alla fine di luglio, Pelorosso aveva arruolato 150 persone. Il primo a risentire gli effetti dell'agitazione fu il capitano della Guardia Nazionale di Molinara, Francesco Capozzi. La notte del 4 agosto 1861, un drappello di briganti disarmò il posto di guardia e nascose le armi in un casolare di campagna per poi distribuirle ai vari componenti la banda Pelorosso. L'azione si ripeté la notte del cinque. Le autorità provinciali provvidero subito a rinforzare i Comuni di S. Marco dei Cavoti e di S. Giorgio la Molara. Nel primo pomeriggio del 6 agosto, Pelolrosso alla testa dei suoi 150 uomini scese dalla "Toppa dei felci" per assalire S. Marco dei Cavoti. "Un colpo di schioppo diede il segnale, ed alle ore due pomeridiane 150 briganti scendevano dalla Toppa dei Felci; una turba degli insorgenti li acclamava, si anima un conflitto co' granatieri e le guardie mobili; dopo due ore trionfarono i briganti. Erano rimasti sul terreno otto cadaveri de' primi; la vita e le sostanze de' cittadini trovavansi alla discrezione de' masnadieri, e di quegli ingordi, che nel sangue dei liberati volevano vendicare l'onta del profugo monarca. Vibrata un'archibugiata a Vincenzo Colarusso cui il sindaco, Giuseppe Costantini, avea lasciata fuggendo la custodia della casa, fu questa saccheggiata; rotti gli archivi municipali e bruciati, e tra le fiamme bruciavano i cadaveri de' due granatieri prima uccisi. Gittavasi una bomba incendiaria nella casa di Nicola Assini; divampavano le fiamme, e i ribelli si sprofondavano nel saccheggio. Una guardia mobile di Ariano rimaneva assassinata con un colpo di scure; bruciava la casa del signor Vincenzo Corsi; mentre la bandiera borbonica scentolava sul largo detto della Croce, ed in danno del merciaiuolo Giovanni Angelo Restucci depredavasi gran quantità di nastri rossi per ornare il petto di quei ribaldi, che nell'eccidio, nel saccheggio e nell'incendio celebravano il trionfo di una causa, cui sorridevano le benedizioni de' preti. Veniva invaso il domicilio di Michele Zurlo; rapivasi la cassa comunale con ducati 3489-68, cioè lire 14831, e cent. 14, e fatto il bottino gittavasi la cassa istessa su' roghi. Altra bomba incendiaria gittavasi nella casa del Capitano della Guardia Nazionale signor Ricci, che divampava; seccheggiavasi la casa di Antonio Valente, la bottega di Giovanni Chiara, la casa di Carmine Zuppa, la bottega di Pasquale Valente, quella di Pietro de Leonardis, la casa di Raffaele Raimondo, quella del sig. Carlantonio Ricci. Il comando era in mano al capo brigante; intimavasi da costui l'obbedienza al Borbone, in nome del quale prometteva perdono a coloro, che prendessero le armi per restaurare il trono "(13). Occupata S. Marco dei Cavoti, Pelorosso proclama il governo di Francesco II e assiste nella locale chiesa a un "Te Deum" in suo onore. Il 7 agosto 1861, Pelorosso, lasciata S. Marco, entra a Molinara senza incontrare resistenza e proclama il nuovo sindaco. Si avvia, poi, verso S. Giorgio la Molara. "La notte inoltravasi; i galantuomini", che avevano spedito dei messi al Pelorosso mentre si trovava ancora a S. Marco dei Cavoti promettendogli che sarebbe stato accolto con gioia nel Municipio, ove anch'essi avrebbero inneggiato a Francesco II. "si fanno accompagnare da fiaccole precedute dalla banda musicale, e tutti accolgono festanti quell'orda. Uno de' galantuomini prende la briglia del cavallo del duce (Pelorosso); tutti offrono a gara e ristori ed alloggio. I masnadieri si affratellano co' cittadini e la notte sopì per poco le paure e le gioie degli uni, e degli altri. L'alba del giorno otto agosto sorse pur essa festosa. La campana chiamava il popolo alla chiesa per l'inno di grazia vi si recava in forma solenne il capo brigante, il quale entrato nel tempio a cavallo situavasi accanto alla statua di S. Giorgio con stomachevole parodia, cui assistevano in seggi distinti i galantuomini, caduti in tanta, e si abietta prostrazione morale da svelare in essi o lo eccesso della paura, o l'estremo sforzo di vigliaccheria pel trionfo d'una causa da essi caldeggiata segretamente. Al canto Ambrosiano seguiva il furto; avvegnacché, mandata a prendere ed ottenuta la cassa muncipale ricca d'oltre a ducati trenta, fu infranta sulla gradinata del tempio, e divisa la somma. Dato l'ordine di attaccare a' cappelli la coccarda Borbonica, ristorati di cibo e di cordialità i ribaldi, partivano per Pago e Pietrelcina"(14). Fin qui la requisitoria per quello che più direttamente ci interessa. Nessun atto di violenza venne, sembra di capire, commesso a S. Giorgio la Molara eppure si vuole che il Pelorosso, dopo aver convocato nella chiesa i liberali per sottoporli a giudizio, abbia commesso un grave fatto di sangue. I liberali più furbi si guardarono bene dall'obbedire; solo tre si presentarono al suo cospetto. Dopo che i tre ebbero gridato "Viva Francesco II", Pelorosso fece fuoco e li uccise, senza alcun rispetto per la sacralità del luogo (15). Sembra strano che un episodio tanto grave non abbia minimamente interessato il giudice Mandamentale Felice Aufiero, così attento nell'esposizione anche di piccoli particolari. I documenti da noi consultati assolvono il Pelorosso (16). Ma seguiamolo ancora nella sua avventura. La banda assomma ormai a ben 1.000 uomini, molti dei quali armati di spiedi e mazze. L'arrivo a Pietrelcina è salutato con entusiasmo dalla popolazione e dal clero locale con in testa l'arciprete Don Nicola Tommasi. Non v'è alcun spargimento di sangue. Si arriva così alle prime luci del 10 agosto 1861. Pelorosso avvista una colonna di bersaglieri, evita lo scontro e si dà alla fuga, ma viene raggiunto. Costretto ad accettare battaglia, lotta coraggiosamente. Alla fuga ora preferisce la morte, che inesorabilmente lo colpisce nel pieno della battaglia. Così finì Francesco Saverio Basile, detto Pelorosso, brigante di Colle.
BREVE STORIA DI ANTONIO DEL GROSSO DI DECORATA, BRIGANTE" MA NON TROPPO Quando fu proclamato il Regno d'Italia, emissari borbonici di Francesco II avevano avvicinato e dato l'incarico di costituire ed organizzare bande armate nelle province di Foggia, Benevento e Campobasso a Michele Caruso da Torremaggiore (17). Uomo senza scrupoli, il Caruso conosceva bene le zone essendovi stato come "cavallaro" e sensale di grano. Con il grado di colonnello, il Caruso riuscì in breve tempo a organizzare varie bande. Egli stesso alla testa di un gruppo di uomini si spostava da una provincia all'altra a marce forzate. Ovunque approdava lasciava dietro di sé una scia di sangue. Sulla sua testa, l'1 giugno 1863 il prefetto di Foggia, De Ferrari, aveva messo una taglia da assegnarsi a chi avesse contribuito a farlo catturare. Proprio nel mese di giugno del 1863, Caruso con 40 uomini a cavallo giunge nell'agro di Decorata. Un giovane contadino di appena 20 anni, Antonio Del Grosso, lavora pacificamente un suo podere. Improvvisamente si vede circondato dai briganti e fatto prigioniero. Solo una grossa somma di denaro potrà restituirgli la libertà. Ma il giovane non può soddisfare la richiesta, allora il Caruso lo obbliga ad arruolarsi nella banda. Invano il giovane supplica il brigante di lasciarlo andare, essendo unico sostegno alla madre; inutili le sue affermazioni circa la sua incapacità ad usare le armi. Caruso non cede, anzi gli affida un incarico di fiducia: dovrà sorvegliare attentamente la sua donna Maria Luisa Ruscitti e quella di un altro capo banda di nome Schiavone. Inizia, così, per Antonio Del Grosso una esperienza che non dimenticherà mai. La sua vita è nelle mani del capobanda. Costretto a seguire la banda nei suoi rapidi e vari spostamenti, partecipa anche ad alcune azioni militari. Il 4 luglio 1863 lo incontriamo, insieme ad altri briganti e alle due donne che doveva sorvegliare, in azione contro le Guardie Nazionali di Morcone e l'11a Compagnia del 45° di linea comandato dal capitano polacco Potoski. Durante l'attacco furono uccisi dai briganti otto soldati. Compiuta la strage, l'amante di Giuseppe Schiavone "nel vedere i cadaveri de' miei compagni, vi passò per sopra col suo cavallo, dilegiandoli barbaramente, e volle che i suoi avessero fatto altrettanto" (18). Il grave episodio dovette certamente turbare il giovane Del Grosso, che medita la fuga. Essere scoperto significava sicura condanna a morte. Allontanatisi dalla zona di Morcone, i briganti il 6 luglio 1863 si accampano per trascorrere la notte nelle campagne tra S. Giorgio la Molara e Montefalcone. Alle due, nel pieno della notte, il Del Grosso, mentre tutti i suoi compagni dormono, si allontana silenziosamente e riesce a raggiungere Colle Sannita, dove si consegna alle guardie locali. Terminava, così, a lieto fine, l'avventura di Antonio Del Grosso, "brigante", ma non troppo.
STORIA O LEGGENDA DI UN BRIGANTE La vita avventurosa di Francesco De Matteis detto Cicco Cordello è emblematica per poter sintetizzare le problematiche, ancor oggi non del tutte esaurite, sul triste fenomeno del brigantaggio dopo l'Unità d'Italia. Nasce a Colle Sannita probabilmente nel 1840. Appena conclusa la spedizione Garibaldina con la conquista dell'Italia meridionale, viene chiamato a prestare il servizio militare. Rifiuta e si dà alla macchia. Entrare a far parte di una "banda" è il suo sogno. Conosce Francesco Saverio Basile, detto Pelorosso, che lo accoglie. Con la "banda" Pelorosso partecipa a diversi scontri a fuoco contro le truppe regie. Durante un conflitto, viene fatto prigioniero e condotto nelle carceri di Benevento, da dove riesce ad evadere. Per dieci anni riesce a sfuggire alle ricerche trovando rifugio presso una famiglia amica. Tradito da una spia, quando ormai la lotta contadina contro i "Piemontesi" è definitivamente perduta, Cicco Cordella cerca inutilmente la fuga. Le forze dell'ordine, accerchiato il covo (un pagliaio con grotta sotto terra) danno fuoco al pagliaio. Vedutosi perduto, il Cordella rimuove la pietra che chiudeva il nascondiglio e in un lampo si dà alla fuga. Gli sparano contro, ma senza colpirlo. Mentre corre attraverso un campo di granturco, da poco raccolto, si ferisce ad un piede. Il cane di un signore detto Pennone lo insegue, lo raggiunge, lo azzanna. Catturato viene condotto e giudicato a Campobasso. Una donna vestita di nero e a viso coperto, che la tradizione orale identifica con la figlia di Carlo Pisacane, lo difende, ma invano. La condanna è esemplare: ergastolo. Solo dopo 45 anni di esilio nelle isole Asinara poté ritornare libero a Colle Sannita, dove morì nel 1922. Una vita vera o una leggenda, certamente un esempio da ricordare perché ci illumina sul triste destino di migliaia di giovani di quel tempo che lottarono invano per un ordine sociale migliore.
NOTE (1) A Castelpagano è conservata una colonna infame detta "La colonna della gogna" sulla quale, fra l'altro, si legge: "Flagello stultus sapientior fit" (Con la sferza lo stolto diviene più savio). (2) "Il brigantaggio nelle provincie napoletane", G. Massari - S. Castagliola - Napoli 1863. (3) Archivio di Stato - Campobasso - Intendenza di Molise - Atti di brigantaggio. (4) Il 12 settembre del 1860 il Governatore De Luca della Provincia di Molise per gli "illuminati poteri conferitogli dal Dittator General Garibaldi" aveva vietato "gli attruppamenti diretti a turbare l'ordine pubblico, gli schiamazzi notturni e gl'insulti ai cittadini di qualunque colore". Inoltre aveva dato ordine di requisire le armi a chiunque non appartenesse alla Guardia Nazionale. (5) Arch. di Stato - Campobasso - Atti di brigantaggio. (6) Arch. di Stato Napoli, "Alta Polizia", fasc. 180. Cfr. anche "Gli avvenimenti del giugno - settembre 1861 nel Circondano di S. Bartolomeo in Galdo" di A. Zazo. (7) Idem. (8) Idem. (9) Idem. (10) Caporale sbandato di San Marco dei Cavoti. (11) Relazione del 3 maggio 1861 del Governatore di Benevento Gallarini Cfr. A. Zazo in Op. Cit. (12) A. Zazo - Op. cit. (13) La requisitoria è riportata per intera da A. Fuschetto in "Fortore di ieri e di oggi". Cfr. anche Archivio Famiglia avv. G. Costantini - S. Marrco dei Cavoti. (14) Idem. (15) L. Sangiuolo "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento", pp. '2 e seg. (16) G. De Sivo "Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861". V. Il libro trigesimo terzo pag. 440 "L' 8 del mese, il Pelorosso entrò come trionfante in S. Giorgio la Molara con le popolazioni dei dintorni; prese il danaro comunale in ottomila ducati e voleva saccheggiare le case degli usciti, ma la buona gente con preci e sacrifizi pecuniari l'impedì. Egli ripostovi il governo borbonico passò a Pagoveiano e a Pietrelcina". (17) Per più particolareggiate notizie sul Caruso cfr. L. Sangiuolo, Op. cit. (18) Biblioteca Archivio Storico del Sannio - Benevento. Bngantaggio 1863. Rapporto del Sindaco di Morcone, 3 luglio 1863 al sottopref. di Cerreto. |
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